La caduta di Gheddafi – Lezioni dalla Libia: imperialismo, anti-imperialismo & rivoluzione democratica

L’improvvisa caduta del regime di Gheddafi, circa 6 mesi fa in seguito alla rivolta libica, solleva alcune domande difficili a cui la sinistra non ha saputo rispondere. La determinazione di Gheddafi nel reprimere fisicamente la rivolta, l’ha invece trasformata in una guerra civile che ha visto un notevole intervento imperialista dalla parte dei ribelli, decisivo per una loro eventuale vittoria. Questo intervento e il ruolo storico di Gheddafi hanno portato certa sinistra a prendere le sue parti nel corso della guerra civile, mentre altre organizzazioni hanno cercato di bilanciare l’appoggio della "primavera araba", giunta anche in Libia, con l’opposizione all’imperialismo. [Original article in English]

L’improvvisa caduta del regime di Gheddafi, circa 6 mesi fa in seguito alla rivolta libica, solleva alcune domande difficili a cui la sinistra non ha saputo rispondere. La determinazione di Gheddafi nel reprimere fisicamente la rivolta, l’ha invece trasformata in una guerra civile che ha visto un notevole intervento imperialista dalla parte dei ribelli, decisivo per una loro eventuale vittoria. Questo intervento e il ruolo storico di Gheddafi hanno portato certa sinistra a prendere le sue parti nel corso della guerra civile, mentre altre organizzazioni hanno cercato di bilanciare l’appoggio della "primavera araba", giunta anche in Libia, con l’opposizione all’imperialismo. [Original article in English]

La questione di dove si colloca l’equilibrio tra la solidarietà internazionale per i movimenti democratici e l’opposizione all’imperialismo potrebbe ritornare molto rapidamente in testa alle priorità in agenda e in modo alquanto pesante alla luce di quanto sta accadendo in Siria dove il regime continua da mesi la sua opera repressiva contro il movimento democratico che attraversa il paese.

Il diffondersi della rivoluzione democratica araba alla Libia ed il conseguente intervento dell’aviazione imperialista contro Gheddafi ha sollevato un grande e acceso dibattito sulla questione dell’imperialismo all’interno della sinistra rivoluzionaria. La grande complessità della situazione in Libia insieme alle specificità proprie di questa guerra e della rivoluzione ci forniscono un punto di partenza utile a riesaminare ciò che era diventato il tradizionale anti-imperialismo. La Libia, al pari del Ruanda, di Srebrenica e più retoricamente della Palestina, è diventato uno di quei conflitti recenti in cui molti sono stati più a favore che contro l’intervento militare.

Parte di questo è dovuto ad una polarizzazione dogmatica tra i liberali schierati a favore dell’intervento, convinti che le bombe servono a proteggere i libici e, dall’altra parte, i nazionalisti insieme ai leninisti duri-e-puri che ritengono Gheddafi sia oggi un nemico dell’imperialismo come lo era in passato. Nessuno di questi due poli ha molto da dire di rilevante a coloro che si trovavano a fermare i tanks di Gheddafi alle porte di Bengasi all’inizio della rivolta con in mano solo un AK47 e poco di più. Ma ci sono stati contributi molto puntuali a favore e contro l’intervento come quelli di personaggi noti come Gilbert Achcar (a favore) e di Noam Chomsky (contro).

Dai fatti all’analisi alle posizioni

Mi interessa guardare a quello che hanno da dire gli anarchici sullo specifico della situazione libica ed a ciò che questa può dirci su una politica anti-imperialista in generale oggi. Sullo specifico della Libia significa iniziare a guardare a ciò che sappiamo dei rapporti reali di Gheddafi con le potenze imperialiste. Dobbiamo anche chiederci chi sono i ribelli, qual è il loro programma e cosa sono diventati dopo l’appoggio aereo imperialista da cui sono dipese le loro sorti. Tra le altre fonti ho usato i documenti dell’ambasciata USA a Tripoli che sono comparsi su Wikileaks. Questi sono utili nel darci un’idea di quali fossero i reali rapporti dell’imperialismo USA col regime libico, di cosa veramente pensavano gli USA della ribellione al di là delle prese di posizione ufficiali della Casa Bianca. Le altre mie fonti sono alcune posizioni anarchiche sulla Libia (in un caso dall’interno della stessa Libia) ed il meglio dei media che vanno per la maggiore e della stampa economica.

Coloro i quali hanno apertamente proclamato il loro sostegno a Gheddafi lo hanno fatto usando il linguaggio dell’anti-imperialismo. Ma qualunque sia stata la pretesa antimperialista del Gheddafi anni ’80, oggi egli è il dittatore che ha bombardato i manifestanti democratici, uccidendone centinaia nei primi giorni della rivolta contro il suo potere. In quei primi giorni venne fatto girare dai libici un filmato che mostrava in modo raccapricciante i corpi letteralmente fatti a pezzi da proiettili di grosso calibro e sembrava non lasciare nessun dubbio. Allo stesso modo abbiamo visto i corpi carbonizzati dei soldati che si erano rifiutati di obbedire a quegli ordini e per questo erano stati fucilati con le mani legate con fil di ferro dietro la schiena.

La BBC intervistò un dipendente di un obitorio libico che parlava di 6-700 uccisi solo a Tripoli (fonte: http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-13785053). Tuttavia in un articolo del 24 giugno di Patrick Cockburn (http://www.independent.co.uk/news/world/africa/amnesty-questions-claim-that-gaddafi-ordered-rape-as-weapon-of-war-2302037.html) si cita un report di Amnesty International (che non sono riuscito a trovare online) che invece indicava il picco della repressione iniziale intorno alle 200 vittime e diceva non erano stati usati cannoni antiaerei dal momento che i bossoli trovati sul terreno dove erano stati uccisi i manifestanti erano solo dei fucili AK-47 e di armi simili.

Può essere benissimo che non si saprà mai chiaramente cosa sia accaduto durante la repressione delle prime manifestazioni. Ma al di là delle armi usate o dell’esatto numero delle vittime, le forze di Gheddafi spararono davvero sui manifestanti. Il fatto che alcuni settori della sinistra sostenessero Gheddafi nonostante questo episodio (e pure in seguito quando i dati sul numero dei morti divennero incontestabili) non è cosa nuova. In nome dell’anti-imperialismo ci sono state componenti della sinistra che in passato hanno sostenuto altri e ben più brutali dittatori.

Quindi all’alba del 2011 era ancora una cosa seria presentare Gheddafi come un combattente contro l’imperialismo? Cercherò di dimostrare che non era una cosa seria, dato che il suo preteso anti-imperialismo era una copertura per la politica interna e per quella estera piuttosto che un riflesso delle reali relazioni della Libia con le potenze imperialiste prima della rivolta.

Un patto con l’imperialismo – Lockerbie perdonata

Il Gheddafi pre-ribellione era riuscito a trasformare se stesso in un rispettabile difensore locale delle compagnie petrolifere, anche se per le potenze imperialiste egli aveva ancora delle ombre nel suo passato. Gheddafi stava quasi certamente dietro l’attentato del 21 dicembre 1988 contro il Boeing 747-121 in volo sulla cittadina scozzese di Lockerbie in cui morirono tutti i 243 passeggeri ed 11 persone a terra. L’attentato venne visto come una ritorsione per il bombardamento della sua residenza nell’aprile 1986 quando perse la vita una sua figlia adottiva. Un paio di comizi di Gheddafi durante i primi giorni dell’insurrezione sono stati filmati proprio dalle rovine della sua residenza, senza dubbio per rammentare al pubblico internazionale che egli aveva già affrontato gli assalti imperialisti. Quasi all’inizio dell’insurrezione, il 24 febbraio 2011, in un’intervista al giornale svedese Expressen, il ministro della giustizia Mustafa Abd al-Jalil che si era già allontanato dal regime dichiarava che era stato lo stesso Gheddafi in persona ad ordinare l’attentato di Lockerbie.

Nonostante la grande eco dell’attentato di Lockerbie, il ripristino delle relazioni con Gheddafi prima della rivolta aveva portato il governo britannico al punto di rilasciare nel 2009 Abdelbaset al-Megrahi che era stato condannato quale autore dell’attentato. Anche il governo USA fece un gran chiasso contro questo rilascio, la realtà è che già nell’ottobre 2008 il Presidente Bush aveva firmato un "decreto per il ripristino dell’immunità a favore del governo libico per i casi di terrorismo e per licenziare tutte la cause di indennizzo in corso negli Stati Uniti". I documenti di Wikileaks confermano che l’ambasciata USA a Tripoli era del tutto consapevole, in anticipo, della bozza di accordo tra Regno Unito e Libia per il rilascio di al-Megrahi, il quale in un documento viene definito "effettivamente come qualcosa di simile ad un eroe popolare agli occhi del regime e della gente comune in Libia".

E’ tutta una questione di petrolio?

L’impazienza di stringere un accordo con Gheddafi era dovuta al fatto che la Libia ha le maggiori riserve di petrolio di tutta l’Africa ed è il 12° maggiore paese esportatore di petrolio a livello mondiale. Il petrolio ed il gas rappresentano il 25% dell’economia libica, il 97% delle esportazioni ed il 90% delle entrate governative. Finché il potere di Gheddafi non è stato seriamente messo in discussione, c’era bisogno di fare accordi con lui. Sia il Regno Unito che gli USA erano a disposti a passare sopra l’uccisione di propri cittadini pur che le loro compagnie petrolifere potessero ottenere una quota dei profitti battendo sul tempo le compagnie russe o cinesi. Le compagnie italiane e francesi sono gli altri attori più importanti in Libia. Sul sito della Compagnia Nazionale del Petrolio libica si legge "Più di 50 compagnie petrolifere internazionali sono presenti sul mercato". Nel maggio 2007 Gheddafi fece visita all’allora primo ministro britannico Tony Blair, e fu allora che la British Petroleum (BP) firmò un accordo per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio pari a $900 milioni con la Compagnia Nazionale del Petrolio libica.

Le dimensioni delle riserve petrolifere libiche hanno spinto alcuni rozzi autori anti-imperialisti a scrivere che le ragioni dell’intervento stanno semplicemente nell’accesso al petrolio. Ma i fatti fin qui descritti suggeriscono che la realtà è un po’ più complessa. Gheddafi aveva già dato l’accesso al suo petrolio alle maggiori compagnie petrolifere, per cui non c’era bisogno di una guerra per acquisirne l’accesso.

Per certi versi gli affari delle compagnie petrolifere in Libia sotto Gheddafi erano più agevoli che non in altri paesi ricchi di petrolio. Anche un altro documento chiarisce che l’ambasciata USA riteneva Gheddafi meno corrotto della maggior parte degli altri governanti nella regione, aggiungendo; "Rispetto all’eclatante saccheggio delle casse dello Stato che avviene altrove in Africa, o rispetto alle sontuose spese degli Arabi del Golfo, i libici non hanno molto da lamentarsi dello stile di vita del loro leader, finché riesce ad assicurare un pezzo di torta a tutti. E quando i libici provano a lamentarsi, ecco che vengono esclusi dall’accesso alle risorse finanziarie".

All’indomani dell’inizio della rivolta, quando l’identità dei rivoltosi non era chiara ed il loro programma era sconosciuto, c’era il pericolo che le compagnie petrolifere potessero vedere il loro accesso ai pozzi ridotto oppure soppresso da un nuovo governo deciso a prendersi una quota maggiore dei profitti da usare per lo sviluppo. La stessa guerra danneggiava seriamente il flusso del petrolio e portava danni significativi alle infrastrutture necessarie all’esportazione. Ma se non c’era chiaramente nessuna necessità di un intervento imperialista per ottenere l’accesso al petrolio, il rovescio della medaglia è il crudo argomento filo-interventista che cerca di fare piazza pulita di ogni discussione su un interesse imperialista guidato dagli interessi petroliferi in virtù di un accesso già esistente, e allora la situazione si fa un po’ più complessa.

La realtà è che la Libia di Gheddafi era ritenuta un paese potenzialmente instabile. Gheddafi aveva di recente sollevato alcune preoccupazioni sull’industria petrolifera nel corso di una conferenza nel gennaio 2009 presso la Georgetown University dove aveva detto agli studenti che la Libia "avrebbe potuto nazionalizzare la produzione di petrolio in vista di un forte crollo dei prezzi del petrolio". Ma, come è stato rivelato da Wikileaks, l’ambasciata USA a Tripoli aveva calcolato che sebbene "gli esperti industriali a Washington e in Libia non avessero accantonato del tutto la possibilità che il GOL (governo libico, ndt) potesse nazionalizzare il suo petrolio ed il settore del gas… non la ritenevano allo stato attuale una minaccia seria". L’ambasciata pensava che Gheddafi "possa infatti dare segnali più aggressivi tramite il GOL ed il NOC (National Oil Corporation, ndt) rispetto all’assicurarsi maggiori quote sui contratti petroliferi esistenti". L’ambasciata concludeva che "Anche se non è mai saggio escludere la possibilità di decisioni irrazionali da parte del GOL, non siamo inclini a ritenere che la nazionalizzazione venga presa seriamente in considerazione".

La maggior parte delle riserve accertate di petrolio e gas libici si trovano nella parte orientale del paese. Per cui se prima della rivolta le potenze imperialiste dovevano avere a che fare con Gheddafi perché era lui a controllare l’accesso al petrolio, una volta che la rivolta era in corso hanno dovuto sempre più avere a che fare con i ribelli per le medesima ragione. E come vedremo sono stati proprio gli USA ad avere in anticipo alcune serie preoccupazioni rispetto al movimento di opposizione nella Libia orientale.

Si potrebbero fare 2 considerazioni generali in relazione al ruolo del petrolio nell’intervento:

1. non c’era nessun bisogno di un intervento per ottenere l’accesso al petrolio; oltre 50 compagnie petrolifere erano già presenti in Libia. Ma l’intervento può ben avere un impatto sulle future condizioni di accesso al petrolio, comunque si sarebbe evoluta la situazione;

2. le potenze imperialiste non hanno gli stessi interessi. Avesse vinto Gheddafi, è probabile che le potenze occidentali sarebbero state "punite" da Gheddafi con favori verso le compagnie dell’energia russe e cinesi. I ribelli vittoriosi avevano fatto capire che non guardavano con favore alle compagnie russe e cinesi per le stesse ragioni.

Il subitaneo sostegno francese alla rivolta può in parte essere dovuto alla speranza che i ribelli avrebbero promosso gli interessi delle compagnie francesi rispetto a quelli degli altri paesi della NATO o dell’Italia in particolare. Comunque, in marzo il primo ministro turco aveva quasi direttamente accusato la Francia di seguire i propri interessi quando durante il vertice dei paesi NATO in cui si prendevano gli impegni militari egli ebbe a dire "Mi auguro che coloro i quali hanno visto solo petrolio, oro e tesori nel sottosuolo guardando in quella direzione [della Libia], possano d’ora in poi guardare alla regione inforcando gli occhiali della coscienza" [1].

Allo stesso modo la tardiva rottura dell’Italia con Gheddafi riflette probabilmente il fatto che la compagnia petrolifera italiana ENI era la maggiore compagnia straniera presente in Libia e quindi ha più da perdere da una ristrutturazione dell’accesso al petrolio sia nel caso i ribelli vincano o che il paese venga diviso. I documenti Wikileaks [2] rivelano che le altre compagnie petrolifere si sono lamentate con ENI per aver dato troppo spazio al regime di Gheddafi per cui la vittoria dei ribelli può portare probabilmente a delle perdite per ENI a causa della sua identificazione col regime di Gheddafi.

Anti-imperialisti armati dall’imperialismo?

Ovviamente il petrolio è solo una parte della storia del miglioramento delle relazioni di Gheddafi con le potenze imperialiste prima della rivolta. Le sanzioni contro la Libia vengono tolte nel 2004 permettendo che si riprenda il commercio di armi. Sia il Regno Unito che la Francia hanno fornito armi al regime di Gheddafi. Un report della UE uscito poco prima della rivolta, rivela che il Regno Unito ha venduto "armi, munizioni, componenti aerei, equipaggiamenti ed elettronica per un valore di $33 milioni". L’UE come tale ha concesso licenze per vendita di armi e di sistemi armati per un valore di $462 milioni a favore della Libia nel 2009. Nel 2007 la compagnia francese Dassault Aviation ottenne un contratto per riparare i rimanenti 12 aerei F1 Mirages della Libia, gli stessi che sono stati poi usati negli attacchi contro i ribelli sebbene 2 aerei dei 3 riparati sono stati dirottati dai loro piloti su Malta disobbedendo all’ordine di bombardare i ribelli.

Alla Libia sono anche arrivati via Italia gli elicotteri USA Huey e Chinnok. Infatti sembra che i primi missili Tomahawk abbiano colpito proprio il costoso comando militare ed operativo made in USA venduto a Gheddafi per equipaggiare la sua brigata d’elite nei 2 anni prima della rivolta. Non c’è dubbio sul fatto che gli USA saranno prontissimi nel vendere lo stesso sistema al nuovo regime! Giusto alla fine del 2008 l’ambasciata USA a Tripoli relazionava sulla volontà del regime di Gheddafi nel comprare altro equipaggiamento militare statunitense.

Il documento [3] conferma pure l’opinione dell’ambasciata USA sulla natura superficiale dell’atteggiamento anti-imperialista di Gheddafi quando rivela che "Muammar al-Gheddafi ha espresso le sue riserve a Mutassim [Gheddafi, figlio di Muammar, ndt.] a metà novembre su una cooperazione militare USA-Libia che potesse portare ad una maggiore presenza in Libia di consiglieri e addestratori USA. E si sentiva certo che il personale militare USA non si sarebbe fatto vedere in giro in uniforme, cosa a cui teneva molto dato che "l’evacuazione" delle basi militari USA e britanniche (rispettivamente quelle aeree di Wheelus e di el-Adem) nel 1970 era ritenuta un gesto significativo della rivoluzione".

Un altro documento del maggio 2009 [4] descrive un meeting tra il Comando Generale USA in Africa ed il regime, in cui si legge che "Al-Gheddafi ha espresso il desiderio di cooperare con il Comando USA in Africa nel campo dell’antiterrorismo e della lotta alla pirateria". L’ambasciata USA vedeva chiaramente anche i legami di Gheddafi con Daniel Ortega e Chavez più come un impeto simbolico che come una vera minaccia, scrivendo dopo la visita di Ortega nel 2009 [5] che dato che "Libia è desiderosa di perseguire alleanze simboliche con i leaders anti-USA per bilanciare la percezione del suo spostamento ad occidente con la finalizzazione dell’accordo compensativo USA-Libia", non c’è nessuno spessore in questo simbolismo. Infatti in ancora un altro documento del 2009 [6] l’ambasciata riportava che Gheddafi aveva per diversi mesi "fatto pressioni per un accordo più ampio sulla sicurezza, comprendente un impegno ad intervenire in aiuto della Libia in caso di attacco" ed era stato consigliato su come evitare questa ipotesi dal momento che gli USA non volevano un simile livello di impegno.

Sebbene abbia un ruolo minore nel sostegno generale, l’11 settembre del 2009 The Telegraph rivelava [7] che membri delle SAS (Special Air Services britannici, ndt) stavano addestrando i loro pari libici e che ciò "farà aumentare i sospetti su quali siano i veri accordi al di là della facciata fra Tripoli ed il Regno Unito". Visto il ruolo avuto dalle SAS in operazioni "con licenza di uccidere" contro i repubblicani irlandesi, questo dato dovrebbe dare da pensare a coloro che erano inclini a sostenere Gheddafi contro il ribelli.

All’inizio della rivolta, Amnesty International aveva rivelato che la compagnia britannica NMS International Group Ltd aveva fornito autoblindo armati per il controllo della folla "che sembravano del tutto identici a quelli usati recentemente per pattugliare le strade invase dalla protesta in Libia". Le potenze imperialiste non solo avevano fornito equipaggiamento militare prima della rivolta, ma avevano anche fornito l’equipaggiamento usato per attaccare i manifestanti con forza "meno letale", così come avevano fatto con gli altri regimi in Egitto ed in Libia.

Dunque le armi e l’addestramento che le potenze imperialiste avevano fornito a Gheddafi [8] non erano semplicemente equipaggiamento per combattere contro i paesi confinanti ma anche forniture per schiacciare il dissenso interno. In cui Gheddafi aveva già dato dimostrazione, quando nel 1996 più di 1.200 prigionieri vennero massacrati dopo i disordini di Abu Salim. Il giorno dopo gli arrestati vennero portati nel cortile del carcere ed uccisi nel giro di 2 ore. Fu solo dopo una protesta durata 2 anni messa in atto dai famigliari a Bengasi e culminata con una manifestazione nel 13° anniversario del 2009 che il regime riconobbe ad oltre 900 famiglie che i loro parenti erano stati uccisi ed offrì loro un indennizzo.

Quando nel 2010 l’Occidente era giunto a considerare Gheddafi come un amico, tanto da fornirgli armi prima della rivolta e mezzi per stroncare ogni protesta, l’immagine di Gheddafi quale nemico dell’imperialismo si era seriamente incrinata. Né inizialmente le potenze occidentali erano così ansiose di intervenire a sostegno dei rivoltosi. La rivolta è iniziata il 15 febbraio, ma il 17 marzo era già finita, quindi prima che l’ONU autorizzasse la no-fly zone sulla Libia. E solo 2 giorni prima che iniziassero i primi raid aerei. Questa cronologia non avrebbe nessuna logica se noi dovessimo vedere i rivoltosi come un esercito prossimo all’imperialismo ed in attesa di ordini da Washington, Parigi o qualche altra capitale.

Rivalità imperialiste

Come spesso accade in Nord Africa le potenze imperialiste non hanno una posizione unitaria. In tutta la regione è risaputa la rivalità tra Francia ed USA e lo si è visto nel differente sostegno dato all’insurrezione libica. La Francia ha riconosciuto l’organismo dirigente della rivolta libica, il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) quale legittimo governo già il 10 marzo, appena 5 giorni dopo la costituzione dello stesso CNT. Ma gli USA invece hanno impiegato oltre 4 mesi per accodarsi alla Francia, esitando fino al 15 luglio quando era chiaro che una vittoria di Gheddafi era poco probabile.

La Francia si era opposta all’idea che l’intervento dovesse avvenire sotto l’egida della NATO. Erano state le fortezze aeree francesi a fermare il bombardamento di Bengasi da parte dell’esercito di Gheddafi giunto ormai alla periferia della città, e senza quel rapido attacco aereo la questione di un intervento sarebbe probabilmente morta prima ancora di cominciare.

Gheddafi ha sempre giocato su queste divisioni e su quelle con la Russia e la Cina. Solo 48 ore prima del voto dell’ONU Gheddafi aveva minacciato che, in caso di attacco, avrebbe trasferito i contratti energetici della Libia alle compagnie di Russia, India e Cina. Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’italiana ENI SpA, la quale aveva i maggiori investimenti in Libia rispetto a tutte le altre compagnie internazionali e che aveva strettissime relazioni con il regime, ha dichiarato al Wall Street Journal che "Chiunque sia al potere ha la necessità di pompare petrolio per ottenerne ricavi per il popolo", ed anche se alcune compagnie sono preoccupate del fatto che "a causa di un appoggio dei loro governi nazionali verso l’opposizione", potrebbero perdere l’accesso al petrolio libico, tuttavia "Almeno pubblicamente, le stesse compagnie hanno espresso fiducia nel fatto che gli verrebbe comunque concesso di poter tornare ad operare in Libia".

Cina e Russia

Erano quasi 36.000 i cinesi che vivevano in Libia prima della rivolta, selezionati dal governo cinese per espandere la sfera di operazioni militari della Cina, la quale aveva consegnato alla Libia 4 aerei militari da trasporto ed una fregata portante missili guidati, la Xuzhou, in cambio di estrazione. Dopo l’attentato di Lockerbie la Cina non ha mai imposto sanzioni al regime di Gheddafi e dozzine di compagnie cinesi hanno operato in Libia principalmente nel settore petrolifero, ma anche in altri settori con accordi bilaterali per un valore commerciale di $6.6 miliardi, che riguardavano tra le altre anche le compagnie ferroviarie cinesi le quali avevano firmato un contratto con la Libia per la realizzazione della linea Tripoli-Sirte per un valore di $1.7 miliardi.

Le compagnie russe hanno stipulato con la Libia contratti per miliardi di dollari ed il precedente ambasciatore russo in Libia aveva definito l’assenza di opposizione del Cremlino agli attacchi aerei come un "tradimento degli interessi russi". Tutto sommato sarebbe stato un grave errore pensare che tutte le potenze imperialiste guardassero alla Libia allo stesso modo o avessero uno stesso piano. Ci sono tensioni significative tra queste potenze.

Anziché perseguire il rovesciamento di Gheddafi, fin dall’inizio sembra che alcune potenze imperialiste fossero preoccupate del fatto che le forze ribelli erano meno controllabili dello stesso Gheddafi. Questi aveva cooperato ad un livello tale da fornirgli senza difficoltà armi per 7 anni fino all’insurrezione. Dall’altra parte le forze ribelli erano una forza sconosciuta, con gli USA particolarmente cauti sulla loro reale natura.

La paura verso il pianeta islamista

Questa paura è fondata in parte su uno studio [9] del "Combating Terrorism" Center dell’Accademia Militare USA di West Point sulla resistenza in Iraq, in cui si dice che "la Libia vi ha contribuito con più combattenti pro capite di qualsiasi altro paese … compresa l’Arabia saudita" e che "la grande maggioranza dei combattenti libici … proviene dal nord-est della Libia, in particolare dalle città costiere di Darnah … e Bengasi". Queste città sono stati i centri della rivolta anti-Gheddafi. Andrew Exum, un esperto USA in contro-rivoluzioni ed ex-Ranger dell’esercito ha sottolineato in un blog che "Questo potrebbe spiegare perché questi ribelli delle province orientali della Libia non erano così entusiasti all’idea di un intervento militare USA. E potrebbe far riflettere coloro che in USA sono ansiosi di armare i ribelli libici".

Simili preoccupazioni precedenti alla rivolta vengono espresse dall’ambasciata USA come si legge nei documenti su Wikileaks, in particolare uno del 2008 [10] in cui si avverte che "l’incapacità dei libici orientali di sfidare effettivamente il regime di Gheddafi, insieme ad una concertata campagna ideologica portata avanti dai combattenti libici reduci dai conflitti precedenti, hanno svolto un ruolo importante nel fare di Derna una fucina di combattenti da mandare in Iraq … Un intervistato rappresenta i giovani di Derna come il personaggio interpretato da Bruce Willis nel film d’azione "Die Hard", il quale si rifiuta testardamente di fare una morte tranquilla. Per questi giovani, la resistenza contro le forze di coalizione in Iraq è stato un importante atto di "jihad" ed un ultimo atto di defezione contro il regime di Gheddafi". "Molti libici orientali temevano che gli USA non avrebbero permesso la caduta del regime di Gheddafi e quindi vedevano un confronto diretto con il GOL nel breve termine come un folle errore … Combattere contro gli USA e le forze di coalizione in Iraq significava per i giovani e frustrati radicali libici dare un colpo al regime di Gheddafi ed uno agli USA, percepiti come sostenitori di Gheddafi".

I rivoltosi da parte loro non erano proprio entusiasti di un intervento militare diretto delle potenze imperialiste. Il 6 marzo, 8 uomini di una missione britannica, 7 della SAS ed 1 dell’MI6 (agenzia di intelligence, ndt), sono stati arrestati a Bengasi dalle unità dell’esercito che si erano unite ai ribelli. The Guardian scriveva che "La missione è stata fermata quando i dirigenti dei ribelli a Bengasi hanno detto no a qualsiasi interferenza estera da parte di paesi che non avessero formalmente riconosciuto i ribelli quale legittimo governo libico". Ben lungi dall’essere una forza sotto il controllo di questa o quella potenza imperialista, i ribelli sono apparsi fin dall’inizio come un raggruppamento che cercava esso stesso di influenzare la politica imperialista piuttosto che riceverne ordini.

Cos’è il Consiglio Nazionale di Transizione

I ribelli sono raggruppati in un organismo noto come Consiglio Nazionale di Transizione (CNT). Il comitato per gli affari politici ed esteri del CNT aveva diramato un programma [11] per la rivolta in tempo per coincidere con il vertice di Londra alla fine di marzo. Venne inizialmente pubblicato in inglese, ma quando si resero conto dell’assurdità linguistica, dato che ben pochi libici parlano l’inglese, il CNT rassicurò sul fatto che l’originale era stato dibattuto in arabo. In ogni caso la sua pubblicazione era chiaramente finalizzata a rassicurare chi negli USA aveva i nervi a fior di pelle riguardo a quali potessero essere le reali intenzioni del ribelli.

Nel programma c’era scritto che il fine doveva essere "la costruzione di una società libera e democratica, l’affermazione della supremazia della legge umanitaria internazionale e della dichiarazione dei diritti dell’uomo". E nella parte economica c’era scritto "Lo sviluppo di una sincera collaborazione tra un forte e produttivo settore pubblico, un libero settore privato ed una efficace e sostenibile società civile, per sconfiggere la corruzione e gli sprechi", cosa che sembrava non spaventare le compagnie petrolifere. Ma in caso ci fossero dubbi residui, si diceva pure che "Saranno tutelati gli interessi ed i diritti delle nazioni e delle compagnie estere".

La presenza islamista, una minaccia o un’opportunità per gli USA?

In un articolo sull’Economist [12] l’elemento islamista all’interno della rivolta viene visto come una sorta di opportunità d’oro per l’Occidente; ecco cosa ha potuto osservare l’inviato dell’Economist a Darna: "Questi jihadisti hanno accolto con entusiasmo i bombardamenti della NATO. ‘Una benedizione’, dice Sufian bin Qumu, internato per 6 anni a Guantánamo, e che guidava i camion per i sodali sudanesi di Osama bin Laden prima di andarsene nei campi afghani. ‘Grandioso’, gli fa eco Abdel Hakim al-Hisadi, un comandante ribelle che si è formato nel campo di Khost, la base del Sig. bin Laden in Afghanistan. ‘E’ cambiato il modo con cui guardiamo all’Occidente. Hanno salvato la nostra gente e noi dobbiamo dirgli grazie’".

Il New York Times ha pubblicato un servizio posteriore alla rivolta sempre da Darnah in cui si legge "Esponenti laici qui avallano il diritto degli islamisti a formare propri partiti e, nella moschea di Sahaba, gli slogans sono marcatamente privi di sentimento religioso. ‘Libertà, dignità ed unità nazionale’, è uno di questi slogan. Circola un volantino contenente rivendicazioni quasi identiche a quelle pronunciate in Egitto: un governo di transizione, una costituzione approvata tramite referendum, elezioni parlamentari e presidenziali ed uno stato democratico fondato sul pluralismo, pacifico trasferimento dei poteri, supremazia della legge e garanzia dei diritti umani per la protezione delle libertà".

Un articolo sul Wall Street Journal dei primi di aprile citava alcuni islamisti tra cui ancora una volta "Abdel Hakim al-Hasady, un influente predicatore islamico ed insegnante di scuola superiore che ha trascorso 5 anni in un campo di addestramento nell’Afghanistan orientale [il quale] aveva curato il reclutamento, l’addestramento e la dislocazione di circa 300 ribelli combattenti provenienti da Darna". Questa volta del professore viene riportata questa dichiarazione "se prima odiavamo gli americani al 100%, oggi siamo sotto il 50%. Gli americani hanno iniziato a redimersi per gli errori passati aiutandoci a salvare la vita dei nostri figli".

Il New York Times ha anche intervistato Shukri Abdel-Hamid [13], descrivendolo come un chierico che ha passato 10 anni nelle prigioni del regime libico, il quale dichiara "Noi vogliamo uno stato civile, il pluralismo, la libertà sancita per legge", facendo eco ad un sentimento spesso già avvertito in Egitto e Tunisia. "L’estremismo è stato una reazione all’oppressione ed alla violenza di stato. Dateci la libertà e vedrete quello che accadrà".

Un cinico qui potrebbe suggerire che Abdel-Hamid dimostra buon senso nel dire le cose giuste per rassicurare i giornalisti occidentali, ma se Abdel-Hamid rappresenta l’elemento islamista, questo sembra essere solo una piccola minoranza, confinata per lo più nell’est della Libia. Preoccupano di più molti ex-esponenti di lungo corso del regime di Gheddafi che sono saltati sulla nave della rivolta una volta lanciata.

Il primo meeting di quello che è diventato il CNT è stato presieduto dall’ex-ministro della giustizia Mustafa Abd al-Jalil. Il 5 marzo Mustafa è stato nominato presidente del consiglio. Ma la massa del CNT sembra essere composta da insegnanti, ingegneri, avvocati e dottori che tendono a formare la dirigenza di una insurrezione repubblicana grazie alla loro formazione ed ai loro estesi precedenti contatti sociali. Il CNT è completamente sotto il controllo dei disertori della vecchia classe dirigente e della classe media, sono tutti maschi sebbene il CNT dichiari di avere al suo interno un piccolo numero di donne.

La classe lavoratrice libica avrà combattuto per la libertà nelle strade ma non sembra avere a tutt’oggi nessuna voce in capitolo. Una situazione resa peggiore dal fatto che un terzo dei lavoratori attivi in Libia sono migranti e l’uso che Gheddafi ne ha fatto quali mercenari rende ancora più difficile un percorso di unità di classe che includa anche i migranti. Cosa che ha le sue radici nel sistema del vecchio regime in cui i sindacati indipendenti erano proibiti, gli scioperi legali quasi impossibili da organizzare e la militanza sindacale limitata ai lavoratori di nazionalità libica.

A parte questo è chiaro che i rivoltosi non sono una sola organizzazione quanto una coalizione piuttosto inquieta.

L’uccisione di Abd al-Fattah Yunis

Una dimostrazione di quanto sia instabile questa coalizione giunge alla fine di luglio, quando i ribelli di una fazione uccidono il generale Abd al-Fattah Yunis, capo del Libero Esercito Libico. Younis era già stato Capo di Stato Maggiore dell’esercito di Gheddafi e Ministro degli Interni, ma aveva disertato il 22 febbraio dopo aver guidato una colonna di soccorsi verso Bengasi. Si dice che i ribelli che lo hanno ucciso gli hanno urlato che lui era il responsabile della morte del loro padre. Questo fatto ha costretto il presidente del CNT a rimuovere tutti i 14 uomini del gabinetto il 9 agosto!

Il CNT sembra trarre il suo maggiore sostegno dalla regione orientale intorno a Bengasi, ma le forze ribelli a sud e ad est sono critiche verso il CNT. Anche quando i ribelli hanno raggiunto Tripoli, The Independent scriveva [14] che "i combattenti ribelli a Misurata, che hanno combattuto a lungo per difendere la loro città, dicono in privato che non hanno nessuna intenzione di obbedire agli ordini del CNT".

La natura del sostegno militare

Nei primi giorni della ribellione i portavoce dei rivoltosi ci tenevano a precisare che se da un lato essi avevano bisogno della no fly zone per fermare gli attacchi di Gheddafi portati contro di loro con aerei ed elicotteri, dall’altro non volevano nessuna truppa di terra imperialista sul suolo libico. Hanno bene accolto solo gli attacchi aerei contro i carri armati e l’artiglieria di Gheddafi. Le forze ribelli in sé erano una misera forza, armata poco più di uno mischione di volontari poco addestrati che usavano le armi raccolte sequestrandole ai soldati regolari che avevano disertato. In particolare, data la natura desertica del territorio libico e le grandi distanze, una simile armata non avrebbe avuto nessuna speranza di avanzare contro un esercito moderno equipaggiato con blindati ed artiglieria, in grado di colpire da notevole distanza.

Al Jazeera ha fornito una eccellente copertura [15] dalla linea del fronte sulle battaglie senza esito condotte dai ribelli contro le forze di Gheddafi, senza il supporto dell’aviazione imperialista. Ma dopo solo 1 giorno di attacchi i ribelli erano già in grado di interrompere la ritirata e di intraprendere la riconquista delle città da cui erano stati cacciati – fino a quando le forze di Gheddafi hanno camuffato da veicoli civili i loro blindati rendendo difficile l’opera di individuazione da parte dell’aviazione occidentale. The Guardian così ne parlava: "E’ sempre più evidente che la questione vera tra i ribelli è la mancanza di disciplina, di esperienza e di tattica. Anche quando si sono trovati in una situazione favorevole, sono stati respinti a causa della evidente mancanza di un piano di attacco o di difesa. I giovani ribelli, a loro volta, si lanciavano avanti per poi battere in ritirata una volta giunti sotto tiro, concedendo così terreno" [16].

Non vi è quasi certamente nessuna coincidenza sul fatto che nello stesso giorno in cui il CNT rendeva noto il programma di aiuti USA, facevano la loro comparsa per la prima volta nella zona operativa gli elicotteri USA AC-130 e i rifornitori A10 (martedì 29 marzo). Il che era molto significativo, dato che questi mezzi sono armi aeree di supporto che richiedono una stretta cooperazione con le forze sul terreno necessarie, per cui si può concludere che queste forze speciali USA fossero state schierate per tale scopo.

Un paio di giorni dopo la rivelazione di questo intervento aereo, The New York Times era in grado di riferire che ufficiali americani avevano ammesso che "piccoli gruppi operativi della CIA stanno lavorando in Libia da alcune settimane all’interno delle forze-ombra occidentali che la amministrazione Obama spera possano contribuire a colpire i militari di Gheddafi" e che "ex-ufficiali britannici affermavano che dozzine di forze speciali britanniche e dell’intelligence del MI6 erano operativi sul suolo libico, nel dare indicazioni sui bersagli per l’aviazione britannica e nel raccogliere informazioni sulla dislocazione delle colonne militari, dei pezzi d’artiglieria e delle installazioni missilistiche del governo libico". Questo lavoro, in base allo stesso report, veniva usato anche per "incontri con i ribelli per cercare di saperne di più sui loro dirigenti e sulle alleanze tra i gruppi di opposizione al Colonnello Gheddafi". Anche secondo The Economist, "l’Ammiraglio James Stavridis, comandante supremo della forze alleate NATO in Europa, ha detto recentemente ai senatori americani che "agenti" dell’intelligence segnalavano la presenza di al-Qaeda, di Hezbollah e dei gruppi guerriglieri libanesi sciiti all’interno dell’opposizione libica. Ma che la guida di questa sembrava essere nelle mani di ‘uomini e donne responsabili’".

Il ritiro delle forze militari USA iniziato il 3 aprile dimostra quanto fosse incerto che gli USA continuassero ad essere contigui ai ribelli e quanto fossero incerti sul lungo termine gli effetti di una vittoria dei ribelli. Ma Al Jazeera di contro rivelava all’epoca che "secondo alcune fonti ci sarebbe una crescente presenza USA a terra. Nell’est, che è in gran parte libero dal controllo del regime, i media riportano la presenza clandestina di ufficiali dell’intelligence americana e britannica per incontrare ed addestrare i combattenti ribelli". Gli attacchi aerei hanno dato agli USA l’opportunità di studiare ed influenzare i ribelli anche grazie ai programmi di addestramento. I giornalisti al seguito dell’avanzata verso Tripoli [17] parlavano non solo di una presenza delle forze speciali britanniche ma anche di altre forze.

"Queste ‘altre’ forze sono piccoli gruppi di ex-operativi delle forze speciali, molti con accento britannico, al servizio di agenzie private di sicurezza, visti regolarmente tra le avanguardie dei ribelli nella loro avanzata a vista tra Bengasi a Tripoli. Questi piccoli distaccamenti di uomini caucasici, con occhiali da sole, con fuoristrada ed armi acquistate sul posto, non gradiscono gli occhi indiscreti, se non altro perché la loro presenza darebbe conferma a quanto sostenuto da Gheddafi sul fatto che l’assalto dei ribelli fosse diretto da quinte colonne occidentali".

La realtà militare

Questo aspetto è stato messo in risalto da una certa sinistra (compresi i repubblicani irlandesi) che va dal presidente nicaraguense Daniel Ortega, al leader cubano Fidel Castro al presidente venezuelano Hugo Chávez, i quali hanno espresso appoggio a Gheddafi. Fidel è uscito veramente fuori di testa scrivendo che l’intervento in Libia è peggiore dell’intervento fascista nella Guerra civile spagnola! "Nemmeno i dirigenti fascisti di Germania ed Italia furono così palesemente spudorati nei confronti della Guerra civile spagnola scoppiata nel 1936, un evento che probabilmente molti ricordano. Da allora sono passati quasi 75 anni, ma niente di quello che è accaduto negli ultimi 75 secoli o 75 millenni di storia umana sul nostro pianete è comparabile" [18]. Naturalmente per Fidel la prospettiva di una rivolta democratica usata dagli USA come scusa per un intervento militare è terrificante in sé, mentre tace sui suoi storici legami con Gheddafi.

I repubblicani irlandesi e Gheddafi

Da irlandese non posso che partire dal mio paese per comprendere il perché dell’appoggio dato a Gheddafi da certe forze della sinistra e del nazionalismo. Questione che non tocca solo gli anarchici irlandesi, dato che in altri paesi coloniali e post-coloniali nel mondo si riscontrano le stesse posizioni.

Quando è iniziata l’insurrezione libica contro il regime di Gheddafi, la maggior parte delle organizzazioni repubblicane irlandesi soni rimaste silenti e così i loro iscritti che hanno un profilo su facebook o su altri social networks. E’ stato solo quando le forze imperialiste, in particolare il Regno Unito, hanno iniziato i bombardamenti contro il regime di Gheddafi, che sono apparsi i primi comunicati. In cui si tendeva a mettere in evidenza l’ipocrisia delle potenze imperialiste mentre c’era ben poco sull’insurrezione democratica in sé contro Gheddafi. Ma quello che veniva fuori era uno schierarsi con Gheddafi contro la rivoluzione. Ed a sinistra a livello internazionale un certo numero di organizzazioni e di leader di alto profilo come Chavez e Castro si allineavano con Gheddafi e coi suoi tentativi di schiacciare la ribellione.

L’intervento NATO significava che Gheddafi poteva tornare come una volta a presentarsi da anti-imperialista. Come una volta perché egli era stato un buon amico dei repubblicani irlandesi negli anni ’80, quando gli aveva inviato 4 cargo di armi moderne per la Provisional IRA (scissione dall’IRA tra il 1969-70 e da allora maggioritaria, ndt). Tra questi aiuti c’erano almeno le forniture di esplosivo militare Semtex che consentiva una serie di attentati molto efficaci sul suolo inglese. Secondo alcuni fu quella campagna di attentati a costringere lo Stato britannico ad impegnarsi nel "Processo di pace" in Irlanda. Anche quei nazionalisti che in seguito uscirono da Sinn Féin (ala politica del Provisional IRA, ndt) hanno spesso mantenuto una sorta di lealtà verso Gheddafi. Le armi fornite da Gheddafi diedero a costoro la possibilità di lanciare una contro-strategia verso il "processo di pace" basata su una sorta di offensiva alla "mini-Tet" (riferimento all’offensiva nord-vietnamita del maggio-agosto 1968, ndt) con la speranza che avesse in Gran Bretagna lo stesso effetto politico che ebbe negli USA allora.

Un esempio di questo atteggiamento in Irlanda è éirígí (partito socialista repubblicano nato nel 2006 come scissione dal Sinn Féin, ndt) con cui gli anarchici del WSM collaborano nella campagna della Rete dell’1% (contro l’1% di irlandesi più ricchi, ndt) ed in altre lotte, il quale come prima reazione alla rivolta libica scelse di ripubblicare il 20 marzo un lungo e divagante discorso di Fidel Castro in cui comparivano frasi come "Persino gli avversari di Gheddafi ci dicono che egli spiccava per la sua intelligenza fin da quando era studente"; e "la latente ribellione libica è promossa dall’intelligence yankee". In un comunicato del 21 marzo intitolato "Attacco alla Libia – un’altra guerra per il petrolio", éirígí riusciva ad evitare di nominare la rivoluzione democratica in Libia salvo un neutrale "éirígí sostiene il diritto del popolo libico di scegliere il proprio futuro senza interferenze di potenze straniere".

Anche negli anni ’90 Gheddafi ha continuato a finanziare gruppi di sinistra sia britannici che irlandesi. Il Gheddafi anti-imperialista degli anni ’80, la cui residenza era stata bombardata in una notte dagli aerei americani con l’aiuto britannico e che aveva disponibilità di fondi e di armi, era per ovvie ragioni un attraente e potenziale alleato. Che ci siano residui di fedeltà nei suoi confronti è cosa che non deve sorprendere.

Ci sarebbe una logica in queste posizioni se quello a cui stiamo assistendo in Libia fosse una guerra civile tra due fazioni al potere. Perché schierarsi? Ma mentre la situazione è complessa, è chiaro invece che ciò che stiamo vedendo è una rivoluzione democratica e repubblicana che è iniziata con proteste di massa nelle strade e che in seguito ha registrato la diserzione di significativi settori dell’elite al governo. Il processo è stato ispirato dalle rivoluzioni democratiche in Egitto ed in Tunisia, ma ha avuto un percorso diverso, dato che di fronte alle proteste di massa, Gheddafi ha deciso di fare quello che Mubarak e Ben Alì non hanno potuto fare.

In Egitto e Tunisia i manifestanti disarmati nelle strade hanno potuto affrontare gli assalti della polizia e dei provocatori con armi improvvisate. Ne sono morti a centinaia in questi scontri, ma hanno scoperto il bluff dei loro regimi, che poi sono caduti. Gheddafi non ha fatto nessun bluff, e non si possono sconfiggere le armi automatiche solo con i numeri. E’ veramente il caso che certa sinistra risponda dell’uso del massacro da parte di coloro che essa sostiene. In particolare, alla luce della recente storia irlandese, e del Bloody Sunday (riferimento alla domenica del 30 gennaio 1972 a Derry, in cui un battaglione inglese uccise 14 persone, ndt) in particolare, che senso ha mantenere il silenzio quando ci si trova di fronte ad un dittatore che decide di usare la peggiori misure repressive contro il suo stesso popolo?

La rivolta ha bisogno dell’appoggio militare

Da un punto di vista militare è alquanto inevitabile che i ribelli abbiano salutato gli attacchi aerei finalizzati ad impedire che Gheddafi approfittasse dell’uso massiccio di aerei ed armi pesanti delle sue forze militari. Non siamo più negli anni ’30, ultima volta in cui si poteva sperare che un esercito straccione senza supporto aereo potesse affrontare in guerra un esercito moderno e vincere. Ed anche negli anni ’30, un migliore equipaggiamento militare, l’addestramento ed i rifornimenti ebbero un ruolo decisivo nell’assicurare a Franco la vittoria sui repubblicani spagnoli. Da questo punto di vista sarebbe stato suicida parte dei ribelli libici (e delle città nello loro mani) non richiedere gli attacchi aerei.

Al Jazeera riportava [19] che "gli abitanti di Bengasi dicono di essere certi che gli attacchi aerei li salveranno dal massacro. ‘Le persone (prima degli attacchi) erano al limite della resistenza tutto il giorno, incapaci di sorridere e con crampi allo stomaco’, dice Kadura, l’americana ritornata a Bengasi, dove vive la sua grande famiglia di zie, zii e cugini. ‘Non credo che avremmo avuto qualche possibilità o tempo prima della rapida svolta diplomatica che ha portato alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza, i Libici avevano implorato un aiuto internazionale. Il loro appello per un attacco aereo straniero era stato forte, generalizzato e proveniente da ampi settori della società. Insegnanti di inglese, banchieri ed islamisti che avevano sostenuto la rivolta in Iraq, tutti dicevano che avrebbero ben salutato un attacco USA alle forze di Gheddafi’". Queste dichiarazioni non sono indice di una mancanza di consapevolezza del ruolo dell’imperialismo, ma al contrario, tanto che nello stesso articolo Kadura dice "Non sventolerò la bandiera francese e non la bacerò perché so bene che questi paesi perseguono i loro interessi. Ma qual’è l’alternativa?".

Nemmeno il più cervellone di coloro che seguono la linea leninista sembra sapere quale poteva essere l’alternativa. Tariq Ali si era limitato ad una augurale riflessione, scrivendo: "Nessuno sa per quanto tempo ancora l’esercito di Gheddafi, indebolito e a pezzi, potrà tenere a fronte di una forte opposizione. La ragione per cui Gheddafi ha perso appoggi dentro l’esercito risiede precisamente negli ordini di sparare contro il suo stesso popolo". Ebbene sì, ma una volta riorganizzata la maggioranza delle forze rimastegli leali, le ha rapidamente lanciate contro le città controllate dai ribelli e quando sono iniziati gli attacchi aerei le sue truppe erano già alla periferia di Bengasi.

La natura degli armamenti moderni è tale che basta uno sparuto manipolo di personale militare fedele a massacrare migliaia di persone in pochi minuti. La rivoluzione al tempo degli elicotteri da guerra non è più una questione di grandi numeri in grado di battere le unità militari. L’approccio da pio desiderio preso dal Socialist Workers Party, nel suo slogan "Il popolo libico può farcela da sé" era scorretto fino all’assurdità. Con Gheddafi che andava in TV ad incitare i suoi seguaci a "ripulire la Libia casa per casa" da "scarafaggi… grassi topi e gatti" sarebbe come chiedere ai ribelli di rifiutare quel sostegno militare che ci salva dallo scoprire se le minacce di Gheddafi erano vere o pura retorica.

Tutta la faccenda ha messo la sinistra in una posizione difficile. Non vogliamo che in futuro l’intervento imperialista acquisti legittimità perché fatto per rispondere ai bisogni dei ribelli di poter contare sul supporto aereo per poter sperare di vincere. Sappiamo che il sostegno all’intervento in Libia diventerà nella più vasta opinione pubblica sostegno all’intervento in generale.

Non è stato un intervento umanitario

Il problema è che ad un gran numero di commentatori di sinistra gli riesce difficile riconoscere le necessità dei ribelli di ricevere aiuti militari senza che ciò appaia doversi convincere che ciò significhi che le motivazioni imperialiste fossero di carattere umanitario. Per loro è dura destreggiarsi tra simili argomentazioni. Come abbiamo visto dalle interviste fatte ai ribelli, questi non hanno nessuna illusione anzi mettono in evidenza i limiti che vogliono porre all’intervento imperialista proprio perché sanno bene che gli eserciti imperialisti hanno la pessima abitudine di restare in giro a lungo anche dopo che il benvenuto è scaduto.

Comunque vadano le cose sul piano militare, su quello politico ed economico l’intervento imperialista non intende seguire l’agenda dei ribelli bensì quella delle potenze imperialiste. Non siamo in presenza di un pranzo gratuito, ma anche se i ribelli avevano pubblicamente reso noto la loro opposizione ad un ulteriore controllo imperialista in Libia nel periodo precedente all’imposizione della no-fly zone, abbiamo visto quanto rapidamente siano state fatte delle concessioni.

Le potenze imperialiste cercheranno di insediare un regime quanto più compiacente possibile, un metodo di negoziazione già sperimentato a lungo è quello di rifiutare rifornimenti di armi ai ribelli. La qual cosa le pone costantemente nella posizione di poter decidere chi vince attivando o meno i bombardamenti esercitando così un’enorme pressione sulle forze ribelli perché creino un consiglio di governo e facciano un programma accettabile per l’occidente. Quei liberali che sentono il bisogno di fingere sul fatto che l’intervento sia stato fatto nell’interesse del popolo libico (e che in maniera idiota pensavano che non ci sarebbero stati "danni collaterali") sono tanto colpevoli nel sollevare tali argomentazioni quanto quelli a sinistra i quali pensavano che la sconfitta di Gheddafi sarebbe stata possibile senza un intervento militare imperialista.

Qualunque sia la lingua usata nella dichiarazione dell’ONU, è impossibile credere che l’interesse principale delle potenze imperialiste fossero i civili libici. Agli inizi dell’intervento già veniva fuori il modo casuale con cui le potenze militari imperialiste consideravano i civili, come risulta quando ci fu il recupero di 2 operatori USA dopo un incidente aereo. Al Jazeera racconta che mentre la missione Search and Rescue veniva a raccoglierli, alcuni civili del posto si erano avvicinati per aiutarli. "I marines a bordo dell’Ospreys gli spararono addosso, ferendo otto civili. Le fonti ospedaliere hanno detto ai giornalisti britannici giunti sul posto il giorno dopo che ad un civile avrebbero dovuto amputargli una gamba. Tra i feriti c’era anche un ragazzino che secondo i medici locali avrebbe perso la gamba" [20].

Come fatto notare da molti, non vi è stato nessun intervento occidentale in altri paesi arabi come il Bahrein, dove un grande numero di manifestanti è stato preso a fucilate. Questo rende chiaro che non esiste nessun principio di protezione dei civili. Anche David Craig, capo delle forze armate britanniche durante la Guerra del Golfo del 1991, ha ammesso che a causa della diversa politica nei confronti del Bahrein "ancora una volta dovremo affrontare l’accusa che i colonialisti affamati di petrolio sono all’altezza dei loro trucchi infami".

Quando è scoppiata la rivolta in Egitto, gli USA si erano limitati per giorni ad appelli per la calma, fino al punto in cui divenne ovvio che un continuato rifiuto di Mubarak di fare un passo indietro stava portando ad una situazione di maggiore instabilità ed ulteriori rivolte. Come hanno fatto in Sud America, a quel punto gli USA hanno smesso di sostenere la dittatura per sterzare nella direzione della lotta democratica senza che questa costituisse una minaccia di base per gli interessi USA. Così l’ultimo favore che il dittatore gli fa mentre esce di scena è quello di essere visto come uno messo alla fine da parte da quella stessa Casa Bianca che lo aveva sostenuto fino a quel punto.

Oltre le argomentazioni degli uomini di paglia

Sarebbe sbagliato fingere che tutti coloro che si sono schierati pro o contro l’intervento avessero argomenti deboli. Sul fronte degli anti-interventisti c’era Noam Chomsky, che in una intervista ben considerata [21] giunge ad essere contro il sostegno all’intervento in ragione delle intenzioni e dei precedenti delle potenze occidentali e dice: "Nel caso dell’intervento del triumvirato delle potenze imperiali che stanno attualmente violando la decisione ONU del 1973 in Libia, il peso è particolarmente grave, visti i loro orribili precedenti. Nonostante ciò, sarebbe troppo forte sostenere che non si possa mai fare in linea di principio – a meno che, naturalmente, noi consideriamo gli stati-nazione nella loro forma attuale come essenzialmente santi. Prevenire un probabile massacro a Bengasi non è poca cosa, qualunque cosa si pensi delle motivazioni". Chomsky non pensa che la Libia vada incontro a questo test ma che bisogna puntarci. "Nel secondo dopo-guerra, ci sono stati 2 casi di ricorso alla forza che – sebbene non qualificati come interventi umanitari – potrebbero essere legittimamente sostenuti: l’invasione del Pakistan orientale da parte dell’India nel 1971, e l’invasione della Cambogia da parte del Vietnam nel dicembre 1978, in entrambi i casi, mettendo fine ad atrocità di massa". E’ il caso di notare che qui Chomsky sta guardando al fatto se l’intervento imperialista sia umanitario piuttosto che al bisogno dei ribelli di cercare un supporto militare imperialista.

Tra gli interventisti, il lavoro di Gilbert Achcar "Libia: un legittimo e necessario dibattito da un punto di vista anti-imperialista" [22] era una critica ben argomentata alla eventualità di un supporto aereo per impedire un massacro, anche se sappiamo che non era la sola ragione per l’intervento imperialista. "Ogni regola generale ammette delle eccezioni. Tra queste regole c’è quella in base alla quale gli interventi militari delle potenze imperialiste autorizzati dall’ONU sono puramente reazionari e non potranno mai raggiungere alcuno scopo umanitario o positivo. Giusto a sostegno dell’argomentazione: se potessimo far girare all’indietro la ruota della storia fino al periodo precedente al genocidio in Ruanda, ci opporremmo ad un intervento militare occidentale autorizzato dall’ONU dispiegato per impedire il genocidio? Naturalmente molti direbbero che un intervento di forze imperialiste straniere rischia di fare molte vittime. Ma può qualcuno davvero credere in buona fede che le potenze occidentali avrebbero massacrato tra mezzo milione ed un milione di esseri umani in 100 giorni?".

L’articolo di Achar viene indebolito dalla sua idea che la pubblica opinione abbia giocato un ruolo significativo nello spingere gli imperialisti ad intervenire. E’ curioso che egli calca la mano su uno degli argomenti retorici spesso usati dagli anti-interventisti, l’idea con cui si chiede perché gli USA non impongano una no-fly zone su Israele. "Si può scommettere con certezza che l’attuale intervento creerà in futuro qualche imbarazzo alle potenze imperialiste. Come quegli esponenti dell’establishment USA che si sono opposti all’intervento americano avvertendo giustamente che la prossima volta che Israele bombarderà Gaza o il Libano, la gente chiederà la no-fly zone. E tra questi ci sarò certamente io".

La idea stessa che gli USA potessero fare una cosa del genere sulla spinta dell’opinione pubblica appare così ridicola che essa dimostra la debolezza dell’idea per cui l’opinione pubblica abbia avuto un ruolo significativo nello spingere verso l’intervento. Ma ci sono due altri sostanziali elementi di evidenza contro questa concezione. Innanzi tutto la massiccia presenza di un’opinione contraria alla guerra, particolarmente in Gran Bretagna, non ebbe nessun impatto visibile nel caso dell’invasione dell’Iraq. Ed in secondo luogo i sondaggi hanno rivelato in realtà che inizialmente c’era solo una risicata maggioranza che voleva un intervento aereo in Libia e che in entrambi i casi c’erano molti più oppositori ad un ulteriore coinvolgimento militare. Molto certamente non c’era una straripante richiesta di intervento da parte dei militari che possa aver fatto pressione sulla potenze imperialiste perchè agissero. Ai primi di aprile, una ricerca della Quinnipiac University "rilevava che il 47 per cento degli elettori registrati è sfavorevole mentre il 41 per cento è favorevole" all’intervento USA.

I limiti dell’anti-imperialismo leninista

Proprio l’esempio della Libia ha messo in evidenza i limiti del convenzionale anti-imperialismo leninista, quella convenzione che guarda a tali lotte in termini di ciò che è male per l’imperialismo. Questo approccio leninista poteva avere un senso nei primi 20 anni della sua elaborazione (sebbene fosse spesso un gioco di prestigio teorico secondo cui la Russia sovietica e la Cina non potevano essere considerate imperialiste). Ma ogni sguardo serio a precedenti insurrezioni repubblicane deve riconoscere che molto spesso i rivoluzionari hanno fatto ricorso a qualsiasi supporto potessero ottenere da parte delle potenze imperialiste.

Se guardiamo alla Rivoluzione americana è probabile che la vittoria di quella rivoluzione sia dipesa dall’intervento francese ed in particolare dalla flotta francese che impose una sorta di "no sail zone’ al largo delle coste americane, privando le forze britanniche di quella facile mobilità che dava loro vantaggio contro i ribelli americani. In contesto irlandese ogni insurrezione repubblicana ha guardato ad altre potenze imperialiste come un contrappeso rispetto all’imperialismo britannico. Prima del XX secolo, una di queste potenze era la Francia; nel XX secolo lo è stata la Germania (vedi la Proclamazione della Repubblica del 1916 che parla dei nostri "valorosi alleati in Europa") e negli anni ’40 lo è stata persino la Germania nazista.

La decisione dei ribelli libici di chiedere il supporto aereo imperialista è qualitativamente davvero peggiore del cercare l’appoggio di Hitler, come fece l’IRA negli anni ’40? A parte forse Fidel, ben pochi potrebbero rispondere seriamente sì a questa domanda. Sull’altro versante di questa questione, possiamo incolpare quegli anarchici spagnoli in esilio che entrarono nell’esercito di liberazione francese per combattere il fascismo e che rubarono armi in vista di un’offensiva contro la Spagna di Franco una volta finita la guerra? La loro fede chiama in causa il problema di tali alleanze, dato che dopo la guerra non solo gli Alleati lasciarono Franco al suo posto ma gli diedero le liste di coloro che avevano combattuto al loro fianco e che ora erano sospettati di tentare di farlo cadere.

Il convenzionale anti-imperialismo di sinistra in realtà è figlio delle necessità della Russia leninista di frantumare il potere delle altre potenze imperialiste con cui aveva a che fare. All’interno di questa necessità, la lotta per la libertà di molte insurrezioni repubblicane è stata vista come secondaria rispetto ai bisogni dell’URSS. Nella Spagna degli anni ’30, questo ha comportato la soppressione del movimento rivoluzionario, in particolare degli anarchici, all’interno della zona repubblicana perché in quel periodo l’Unione Sovietica perseguiva un’alleanza con alcune potenze imperialiste a spese di altre. Alla fine della 2GM, questa politica di Mosca ha comportato in paesi come la Grecia e l’Italia che le unità dei partigiani comunisti dovevano cedere le armi, dopo la firma di Stalin a Yalta con cui veniva soppressa ogni istanza di rivoluzione. In Grecia questo ha portato alla fucilazione di quadri comunisti che non avevano obbedito all’ordine di Stalin. In Jugoslavia i partigiani erano abbastanza forti ed indipendenti da resistere a questi ordini al punto da prendere il potere con Tito.

Alcuni punti di vista anarchici

Subito dopo l’inizio dei bombardamenti aerei sono usciti alcuni contributi al dibattito sulla Libia da un punto di vista anarchico. Ecco tre comunicati fatti all’inizio dell’intervento presi da materiale apparso in inglese su Anarkismo.net.

Il primo è importante in quanto è la traduzione da un blog di un anarchico libico, Saoud Salem, che in quanto testimone dell’intervento scriveva che "questo intervento trasformerà la Libia in un vero inferno, molto più di ora. Questo intervento toglierà la rivoluzione dalle mani dei libici, una rivoluzione che è costata migliaia di donne ed uomini uccisi. Un intervento che dividerà la resistenza libica. Per essere liberati da Gheddafi e poi finire schiavi di coloro che lo hanno armato e reso forte in tutti questi anni di violenza autoritaria e di repressione" [23].

Il blog di Saoud Salem, benché collocato in Libia, non ci dà nessun’altra indicazione oltre una singola voce critica ma costituisce un utile antidoto al dibattito pro-intervento secondo cui tutti i libici anti-Gheddafi volevano l’intervento. Altrettanto importante è il fatto che rende chiari i costi dell’intervento per la rivoluzione libica, costi che come abbiamo visto sono già stati pagati.

L’Italia, che era stata strettamente legata al regime di Gheddafi, ha poi fornito le basi aeree per l’intervento. Un comunicato della FdCA in Italia conclude "A noi attivisti rivoluzionari interessano le potenzialità di rivolta e di autorganizzazione espressa da popolazioni che escono dalla rivendicazione identitaria clerico-fondamentalista per rivendicare l’accesso ai diritti fondamentali e alla redistribuzione delle ricchezze … Per questo il nostro sostegno ai comitati popolari e ai compagni e alle compagne che a costo della propria vita e della loro libertà lottano nelle piazze e nelle strade di Bengasi, della Siria, del Bahrein, dell’Arabia Saudita e di tutto il Medio Oriente e il Nord Africa. Per questo il nostro irriducibile no alla guerra e all’intervento militare con il suo ineludibile seguito di devastazione e di immiserimento in Libia, e alla crudele repressione normalizzatrice in corso negli altri paesi" [24].

Come i migliori comunicati contro l’intervento questo cerca sia di sostenere la rivoluzione democratica che di opporsi all’intervento imperialista, ma se sul piano politico è una posizione forte per le ragioni già dette, risulta invece ridicolo da un punto di vista militare. Come risolvere questa particolare contraddizione tra la posizione formalmente corretta di opposizione a tutti gli interventi ed una rivoluzione democratica che verrebbe repressa con forse considerevoli perdite di vite se non ci fosse un intervento del genere? Nella sua risposta a Gilbert Achcar, Alex Collinicos del Socialist Workers Party (SWP) britannico sostanzialmente fa spallucce e dice "le cose a volte succedono e basta". Nella sua risposta ad Achcar, così conclude: "Il fatto triste è che i massacri sono una caratteristica cronica del capitalismo. La sinistra rivoluzionaria, ahimé, è troppo debole per fermarli. Finché non saremo più forti, possiamo solo offrire chiarezza politica sulla posta in gioco". Almeno questa è una posizione molto più onesta di quella espressa dal SWP irlandese sul fatto che il popolo libico avrebbe vinto con la propria forza, cosa che magari può andare bene a Londra ma che non risulta così convincente quando hai i carri armati di Gheddafi alle porte di Bengasi.

Un ultimo comunicato viene da una intervista su Anarkismo.net con Nejat Firat Zeyneloglu, un libertario kurdo che vive in Turchia. Nejat proponeva questa osservazione in merito al dibattito che ha polarizzato la sinistra leninista vecchio-stile e la sinistra liberale: "Difendere le dittature o difendere l’intervento imperialista contro i dittatori è fondamentalmente la stessa cosa; significa respingere o ignorare la volontà delle masse che lottano per la libertà con le loro mani. In entrambi i casi emerge una totale sfiducia verso il popolo, verso le masse, verso la loro lotta. Per i paesi imperialisti, naturalmente, tutta la questione si risolve nel provvedere alla cosiddetta ‘stabilità’, perché i loro interessi dipendono dalla ‘stabilità’. Per cui, in generale, finché i loro profitti sono salvaguardati, ad essi non importa quale sia la forza dominante, se fascisti, socialdemocratici, conservatori, verdi e così via. Ricordiamoci che fino ad un mese fa, Sarkozy, Berlusconi, Erdoğan ed altri erano i migliori amici di Gheddafi. Perché tutti loro hanno fatto investimenti in Libia, e come sapete, per il capitalismo gli investimenti sono più importanti della vita delle persone. I paesi imperialisti sono molto più preoccupati per il popolo libico che per Gheddafi. Perciò, lo scopo di questa guerra è stabilire e garantire una nuova struttura nell’interesse dei paesi imperialisti. Penso che dobbiamo sostenere la lotta del popolo libico che è fondata sulla loro volontà. Dobbiamo sostenere tutte le espressioni di democrazia diretta e di autogestione contro ogni tipo di oppressione e di autorità. Dobbiamo riconoscere che il popolo libico ha il diritto alla autodeterminazione e dobbiamo stare al suo fianco, né con Gheddafi né con gli imperialisti" [25].

Qui c’è il seme di un approccio diverso. Che è quello che se da una parte c’è il diritto di mettere in guardia e di criticare, dall’altra si dovrebbe iniziare a difendere il movimento popolare ed accettare che le decisioni su come bilanciare l’opposizione politica all’imperialismo con la necessità militare di un intervento imperialista sono solo di coloro che le prendono. In ogni caso non è che le stesse potenze imperialiste staranno a sentire quello che possono dire minuscoli gruppi anarchici, leninisti o di altri rivoluzionari. Può avere senso per Castro o per Chavez uscire con grandi comunicati politici su cosa si dovrebbe impedire agli imperialisti, almeno Cuba e il Venezuela possono votate in sede ONU.

I partiti leninisti e nazionalisti si immaginano che un giorno prenderanno il potere dello Stato, che arriveranno a menare i colpi. Così ancora una volta da questo punto di vista l’approccio a queste questioni sulla base dell’immagine della politica di stato ha qualche credibilità. Per gli anarchici invece noi non ci aspettiamo di trovarci in questa posizione, per cui perché fare comunicati come se ci potessimo trovarvici.

Dure realtà

Storicamente, i movimenti democratici, anticoloniali e repubblicani hanno sempre guardato ad interventi esterni allo scopo di raggiungere i propri obiettivi. Le rivoluzioni richiedono denaro e fucili ed entrambe queste cose scarseggiano all’interno dei movimenti proletari. Questo vuol dire che il proletariato sarà spesso costretto a fare alleanze con la parte più nazional-democratica della classe borghese, un’alleanza in cui quest’ultima procura le risorse e l’elemento proletario i numeri per una ribellione di successo. L’esperienza storica di tali alleanze è alquanto negativa, tanto nel caso di un’alleanza con la borghesia nazionale quanto nel caso di una potenza straniera che interviene. Certamente questo pone enormi limitazioni su quello che si può apertamente perseguire, quando gli stalinisti spagnoli sostenevano che la rivoluzione anarchica poteva con probabilità indurre la Francia o la Gran Bretagna a revocare l’embargo sulle armi durante la guerra civile, c’era una logica in questo loro argomentare. Una logica che gli anarchici respinsero per le ragioni spiegate altrove.

Per certi versi penso che sia Chomsky che Achcar abbiano centrato l’argomento giusto, anche se loro non sono d’accordo su come applicarlo nel caso della Libia. Non ci può essere una sorta di principio assoluto che insista sul fatto che non si deve chiedere una sola briciola di aiuto ad una potenza imperialista. La Libia non è l’Iraq del 2003 in cui non c’era nessuna insurrezione popolare e nemmeno l’Afghanistan del 2001 dove gli USA avevano appoggiato le etnie dei signori della guerra contro un comune nemico.

Se i leninisti fossero in qualche modo onesti, dovrebbero riconoscere che in pratica se non in teoria questo è sempre stato storicamente il loro approccio alla questione. Non solo Lenin accettò l’aiuto della Germania imperialista durante la rivoluzione russa, ma è solo con il gioco di prestigio di fingere che l’Unione Sovietica o la Cina non siano imperialisti, che i leninisti non sono capaci di scorgere quanto Cuba, il Vietnam, la Corea, il Nicaragua ecc. contassero sull’aiuto imperialista.

Un approccio anarchico a questi temi necessita di una serie di elementi:

  1. una assoluta opposizione politica all’imperialismo in sé sia nelle sue forme militari che economiche ed un rifiuto del concetto di intervento umanitario dall’alto;
  2. difesa dei movimenti democratico-repubblicani in generale;
  3. promozione e sostegno delle tendenze e delle correnti libertarie all’interno di questi movimenti;
  4. accettazione del fatto che il quantum ammissibile di supporto militare accettabile da parte di potenze imperialiste verso chi lotta non è un assoluto bensì dipende dalla natura dei movimenti in lotta e di cosa sono disposti a sacrificare per tale appoggio. Ed in conclusione per quanto noi si possa mettere in guardia e criticare, sta a questi movimenti in sé giudicare.

Tale posizione può essere più complessa, meno basata su una rigidità ideologica e più basata su un giudizio caso per caso, ma essa riflette la storia concreta più che quella immaginata degli anarchici, della sinistra e dei movimenti anti-colonialisti e filo-democratici. Come in altre aree non possiamo sospendere l’attività finché non emerge spontaneamente dalle profondità il movimento perfetto, piuttosto dobbiamo lottare con i movimenti che esistono. Ed una tale lotta non potrà avere nessuna influenza se resta un puro esercizio di riaffermazione ideologica che si sforza di ignorare la realtà sul terreno.

Il futuro del popolo libico

A questo punto chi può fare previsioni su dove andrà la Libia del dopo-Gheddafi. Chiaramente i ribelli non sono un organismo unico e la pretesa del CNT di rappresentare tutti è già stata contestata. Terrà la direzione neoliberale tratteggiata nel programma emesso al tempo della conferenza di Londra? Quanto durerà il ritrovato rispetto per gli USA citato dalle schegge islamiste una volta che la politica degli USA tornerà ad essere quella di sempre? Il CNT si disintegrerà in una guerra civile? Riusciranno le masse a rompere i limiti imposti da queste fazioni per iniziare a sviluppare l’organizzazione per creare una Libia veramente libera?

Quello di cui possiamo essere certi è che assisteremo ad un processo in cui la nuova classe al governo cercherà di mettere il coperchio sulla fiducia che la classe lavoratrice ha sviluppato nel corso della rivolta. Cercheranno di limitare il dibattito su quale tipo di "Libia Libera" perseguire e di limitare il diritto dei lavoratori ad organizzarsi in sindacati o in altri organismi di classe come è successo in Egitto. Nel breve periodo la sfida per la classe lavoratrice sarà quella di lottare per i propri interessi nella Nuova Libia piuttosto che vedere i propri interessi sussunti in nome di una unità nazionale che ha una sola via di uscita, quella di ricreare una Libia garante per le compagnie del petrolio.

Gli imperialisti certamente appoggeranno il CNT ed una rapida imposizione di una stabilità "commerciale consueta" come quella che stanno cercando di imporre in Tunisia ed Egitto. Da questo versante forse la più grande e vera speranza è che la vittoria in Libia si colleghi alle rivolte in corso ai suoi confini, in Tunisia ed in Egitto ed aggiunga nuove speranze a quelle rivoluzioni in atto. Se tutti e tre i paesi riescono in questo dovranno vedersela con l’ostile intervento imperialista, senza più riguardi per le alleanze stabilite in stato di necessità nel corso della battaglia.

Andrew Flood  [Original article in English]

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.
Note:
1. http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/24/france-turkey-nato-libya
2. http://213.251.145.96/cable/2007/10/07TRIPOLI912.html
3. http://213.251.145.96/cable/2008/12/08TRIPOLI992.html
4. http://213.251.145.96/cable/2009/05/09TRIPOLI417.html
5. http://213.251.145.96/cable/2009/01/09TRIPOLI2.html
6. http://213.251.145.96/cable/2009/02/09TRIPOLI117.html
7. http://www.telegraph.co.uk/news/newstopics/onthefrontline/6176808/SAS-trains-Libyan-troops.html
8. http://www.calgaryherald.com/news/countries+source+weapons+used+Libya/4357421/story.html#ixzz1HKQFeP4i
9. http://www.asiantribune.com/news/2011/03/17/libyan-rebellion-has-radical-islamist-fervor-benghazi-link-islamic-militancyus-milit
10. http://213.251.145.96/cable/2008/06/08TRIPOLI430.html
11. http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/mar/29/vision-democratic-libya-interim-national-council
12. http://www.economist.com/node/18486089
13. http://www.nytimes.com/2011/03/08/world/middleeast/08darnah.html?_r=3
14. http://www.independent.co.uk/news/world/africa/despite-the-euphoria-the-rebels-are-divided-2341792.html
15. http://www.youtube.com/watch?v=LJj1AKa11r8
16. http://www.guardian.co.uk/world/2011/apr/02/libyan-conflict-descending-into-stalemate
17. http://www.independent.co.uk/news/world/africa/rebels-claim-the-victory-ndash-but-did-the-brits-win-it-2342152.html
18. http://www.escambray.cu/Eng/Special/fidel110329143
19. http://english.aljazeera.net/indepth/features/2011/03/2011328132420804774.html
20. http://english.aljazeera.net/indepth/features/2011/03/2011328132420804774.html
21. http://www.chomsky.info/interviews/20110330.htm
22. http://mondediplo.com/openpage/libya-a-legitimate-and-necessary-debate-from-an
23. http://www.anarkismo.net/article/19112
24. http://www.anarkismo.net/article/19147
25. http://www.anarkismo.net/article/19096